Abel Wakaam
Brehat
1° Brehat, alla ricerca del blu di Chartres
Isola di Brehat – Bretagna

La prima volta che vidi Ivonne rimasi a fissarla senza riuscire a pronunciare una parola. E' come se un silenzio assordante fosse rimasto impigliato negli arbusti fioriti che si inerpicavano ai lati di quella piccola porta intarsiata. Ricordo ancora quel suo modo apparentemente timido con cui mi tese la mano e l'arricciarsi delle sue labbra carnose nel pronunciare un saluto di benvenuto. La voce, dolcissima come il nettare di un fiore mi arrivò dritto nel cervello, lasciandomi senza fiato. - Ben arrivato, - sussurrò, frantumando quel breve istante di imbarazzo che si era creato tra noi - Kurt sarà felice di vederti.

In quel preciso istante avrei voluto confessarle che non mi importava proprio nulla di Kurt e di tutti i motivi che mi avevano condotto sull'isola di Brehat, ma risposi imbarazzato al suo saluto, restando aggrappato al suo sguardo.

- Hai fatto un buon viaggio? - mi interrogò, invitandomi ad entrare - Ti aspettavamo col primo traghetto di domattina.

- Purtroppo, nonostante le aspettative, la mia prenotazione online è stata una vera delusione. La casa di per sé non era male, ma i proprietari non si sono rivelati all'altezza.

- Scommetto che sei finito nel B&B dei Gautier? - sorrise, arruffando le ciglia.

- Come lo hai capito? Comunque sì, era l'unica camera disponibile a Ploubazlanec.

- I proprietari non sono di qui. - mi spiegò - Vivono a Parigi e usano la casa solo d'estate, affittandone una parte giusto per pagarsi le spese. Non si sono mai integrati realmente con noi e non si sono fatti molte amicizie in paese. Sei capitato nel posto peggiore ed il fatto che sia l'unico libero avrebbe dovuto metterti in guardia.

- C'è un posto sull'isola dove posso passare la notte?

- La stanza che ti avevamo riservato per domani non è certo sparita nel nulla, - continuò - ed è buona abitudine dei Bretoni quella di tenere sempre un letto pronto per ogni evenienza.

- Kurt sta ancora lavorando nella serra?

- E' andato a Lannion per consegnare un centinaio di agapanthus, - mi spiegò, aiutandomi coi bagagli - tornerà domattina. La sua idea era quella di aspettarti all'imbarco, così da fare la strada insieme. Dovrò avvertirlo che sei già qui!

- Sei sicura che non sto creando un problema col mio arrivo in anticipo?

- Nessun problema, - sorrise di nuovo, cercando insistentemente il mio sguardo per rassicurarmi - ora ti mostro la depandance così potrai finalmente rilassarti dopo il lungo viaggio. Dammi solo il tempo di accendere la caldaia per l'acqua calda, la doccia sarà disponibile dopo qualche minuto.

La depandance era una casetta in legno, appoggiata all'edificio principale in pietra. Sembrava sbocciata tra i fiori del parco come se essa stessa fosse una specie botanica rara. Incastonata tra le ortensie rosse e centinaia di agapanthus bianchi e azzurri, riusciva a trasformare ogni finestra in un quadro. Mi slacciai la cintura e mi lasciai cadere sul letto, sfinito dal viaggio. Il soffitto color pastello si trasformò in un immenso cielo. Non so quanto restai in quella posizione, avvolto da un senso di pace e, ancora una volta, fu la sua voce a destarmi dai mille pensieri che mi passavano nella testa.

- C'è l'acqua calda, - mi avvertì, bussando alla porta - e ti ho portato anche gli asciugamani che erano stesi ad asciugare.

Entrò istintivamente senza aspettare la mia risposta. D'altronde era casa sua e ne aveva pieno diritto. Fu così che mi trovò come una foca spiaggiata, la camicia aperta e i calzoni sbottonati. Non ebbi neppure il tempo di rendermi presentabile, ma lei nemmeno si accorse del mio disagio.

- Metto tutto qui, - esclamò con naturalezza - se hai bisogno di qualcosa basta che mi chiami. Le pareti sono sottili e la voce le attraversa facilmente.

Ci furono molti pensieri che mi attraversarono la mente in quel preciso istante, ma nessuno poteva essere espresso senza apparire come il maniaco di turno. Mi sorrise ancora una volta accostando la porta e poi la vidi sfilare tra i fiori come una folata di vento che sparisce all'improvviso.

Più tardi, mentre ero sotto la doccia, la sentii canticchiare nel parco. Sembrava una canzoncina per bambini e la sua voce mi entrò direttamente nella testa come un ritornello che non si riesce più a dimenticare. Nella depandance c'erano due grandi finestre, ma nessuna era dotata di una tenda. Erano i fiori a far da schermo, e le trasparenti visioni accendevano di fascino ogni prospettiva. Mentre mi aggiravo nudo nella stanza, sfregandomi l'asciugamani sulla schiena, mi resi conto però che tale trasparenza era bidirezionale e gli splendidi occhi di Ivonne potevano incrociare i miei con la stessa insistenza con cui la stavo ammirando mentre si aggirava tra le fronde con l'innaffiatoio giallo in mano. Voltandosi verso di me, non abbassò mai lo sguardo ed ebbi la netta sensazione che cambiò l'espressione del suo volto, addolcendola in modo aggraziato.

Mi domandai se fosse soltanto una mia suggestione, un mio personale modo di vivere la situazione fantasticando su ogni dettaglio, ma qualcosa di torbido si insinuava dentro i miei pensieri, trascinandoli dove la mente voleva davvero andare. Più tardi riuscì ancora a sorprendermi con quel suo modo caldo e istintivo di affrontare ogni situazione: - Avrai fame, - mi disse, parlandomi al di là dei rampicanti che si intrecciavano sui graticci di legno candido - cosa ti andrebbe di mangiare?

- C'è qualche locale sull'isola aperto anche di sera? - le risposi, sperando che mi facesse compagnia.

- La mia cucina, - rispose - sempre che ti accontenti di quello che c'è. Il grosso della spesa la porterà Kurt domani.

- Sono italiano, - obiettai - quindi è difficile per me adattarmi al vostro cibo, ma prometto di mangiare tutto quello che mi offrirai senza battere ciglia.

- La pasta non è di questo mondo, - abbozzò un'espressione divertita - ma una entrecote non sarà molto diversa dalle vostre bistecche. Come contorno preferisci la verdura o le patatine?

- Vada per le patatine... per che ora si cena su quest'isola?

- Presto, - rispose con l'aria da maestrina - appena è pronto ti chiamo.

- Devo mettermi in giacca e cravatta?

- Va bene anche con l'asciugamani con cui ti grattavi la schiena dopo la doccia, - scoppiò a ridere - per certi versi mi ricordi Kurt negli stessi frangenti!

Non riuscii a comprendere se quel riferimento al marito fosse un monito o semplicemente un accostamento casuale, ma bastò a cancellare in un attimo tutti gli stuzzicanti propositi che mi ero inconsciamente costruito. L'ora di cena arrivò come il vento che soffia dall'ovest e spinge la marea fin dentro al porto, riportando le barche piegate sulla battigia al loro usuale dondolio.

Ivonne mi accolse con un grembiulino a fiori allacciato in vita. Quando se lo slacciò con grazia, apparve in tutto il suo splendore in quell'abitino di campagna sbottonato a dovere. Ecco, in quel momento l'avrei sospinta contro la parete azzurra alle sue spalle e l'avrei baciata con tutta la voglia che sentivo dentro. Invece restai imbambolato a fissarla finché fu lei ad invitarmi a sedere. - Qui non beviamo vino, - provò a rompere il mio imbarazzo - hai già assaggiato il nostro sidro?

- No, - sussurrai con l'anima in subbuglio - ma non essendo un amante del vino, non ho alcuna preclusione.

- E la birra? - insistette.

- Non mi attira più di tanto.

- Allora lo devi provare. Ne esistono due versioni, uno doux e uno brut... il primo è adatto ai cibi dolci, mentre il secondo si sposa bene col pesce e con la carne.

Mentre riempiva le due tazze mi resi conto che avrei bevuto di tutto in sua compagnia, ma la foto di lei insieme al marito che troneggiava sulla parete di fronte mi pose alcuni insistenti quesiti. Kurt non era certo il tipo di uomo con cui avrei immaginato Ivonne. Corpulento e dall'apparenza rustica, pareva un barbaro venuto d'oltremanica con l'intento di rapire le belle donne bretoni. - State bene insieme! - mentii spudoratamente.

- A volte gli opposti si attraggono, - commentò, abbassando lo sguardo - anche se in certi momenti la convivenza può risultare complicata. Non è facile vivere su quest'isola quando arriva l'inverno, - confessò - si passa da cinquemila residenti a meno di cinquecento... e il sole a volte non compare per settimane.

- E cosa succede in questi giorni tristi?

- Si vive, - sussurrò - si lavora ai bulbi, ai rizomi e alle talee... e si aspetta la primavera.

- Non avete figli? - la interrogai, pentendomi subito della domanda.

- Bisogna essere in due a volerli, - ammise, senza specificare chi fosse contrario - e, più passa il tempo, più ci si chiede se sia davvero il caso di farli.

- Sei ancora molto giovane. - obiettai.

- Ma sono molto vissuta dentro... - affermò, con aria enigmatica - forse troppo.

Riguardai la foto che la ritraeva abbracciata a Kurt e, immediatamente, immaginai un rapporto torbido tra loro. Lei la bella ragazzina bretone, sensuale e innocente, stretta al suo carnefice rozzo e perverso. Fu questa l'immagine che non riuscii a togliermi dalla testa per tutto il tempo della cena, dove imparai a sorseggiare il sidro dentro la tazzina senza rendermi conto che, seppur poco alcolico, mi stava allontanando pian piano dalla realtà. Quando provai ad alzarmi dalla sedia, compresi di aver esagerato. - Scusami, - balbettai - ma non sono abituato a bere.

- Non ti preoccupare, - mi tese la mano - vuoi che ti accompagno in camera?
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