Abel Wakaam
Thunderstorm
1° Thunderstorm, un incontro sotto la pioggia
La prima volta che la vidi era un giorno d'estate e nulla lasciava supporre un incontro così interessante. Fu una nuvola passeggera a bisticciare col sole di luglio ed il sentiero di campagna prese invidia dal vicino torrente, supplicando il cielo che gli concedesse la pioggia come compagna di viaggio. L'unico riparo in quel gocciolare lacrime sempre più grandi era un casolare abbandonato, col tetto spiovente che creava un piccolo riparo tra l'erba alta della vegetazione.

Fu in quel metro quadrato che la incontrai, tra la porta chiusa da un pesante lucchetto e la scala di pietra che saliva nel fienile. Timidamente le chiesi se potevo approfittare di quel riparo improvvisato. Lei sorrise, strinse la figlia a sé e mi fece spazio accanto al muro di mattoni consumati dal tempo. - Mio marito è corso all'auto per prendere l'ombrello, - sussurrò, accarezzando la bambina - ma credo che si sia dovuto riparare in qualche altro anfratto lungo il percorso perché la pioggia adesso s'è fatta davvero intensa.

Mentre parlava, potevo sentire il respiro affannoso che le gonfiava il petto a ritmi sempre più lenti: - Avete corso? - le domandai, con aria impacciata.

- Ci eravamo sistemati sulla riva del fiume qualche centinaio di metri più su. - rispose, cercando di controllare la respirazione - Alle prime gocce ci siamo precipitati verso questo casolare... l'avevamo notato stamattina, passando su sentiero che risale il torrente.

Mentre mi nutrivo del suo sguardo, smise per un attimo di accarezzare le trecce della figlia ed allungò la mano: - Piacere... - bisbigliò - mi chiamo Greta.

Non ricordo nemmeno se le dissi il mio nome. Mi limitai a sorriderle e le sfiorai appena le dita con un gesto istintivo quanto maldestro. - Mi scusi, - abbozzai un'espressione dispiaciuta - mi sento a disagio per averle sottratto una parte di questo piccolo riparo.

- Si figuri, - sorrise in modo amabile - basta stringersi un poco.

Non potevo certo confidarle che il mio imbarazzo era provocato dal suo abito succinto, probabilmente indossato di corsa al primo accenno di pioggia. Avevo la sua scollatura a pochi centimetri dalla faccia e quasi potevo ascoltare il battito del cuore in quel susseguirsi di movimenti sussultori che mi agitavano sin nel profondo. Nella fretta se l'era infilato sopra la pelle ancora umida dal bagno nel torrente ed ora la ricopriva come un guanto bagnato, esaltando la forma prosperosa del suo rigoglioso seno. I capezzoli premevano sotto la maglina leggera, esaltandosi ad ogni respiro. Per quanto provai a fingere disinteresse, bastò un reciproco sguardo per scoprire i termini evanescenti del gioco.

Era tutto lì, in quell'impercettibile scambio di consapevoli occhiate, dove io sbirciavo le sue forme e lei apparentemente ne andava fiera. Quando una folata di vento le scivolò lungo il collo, potei persino scorgere la reazione immediata della sua pelle abbronzata... ed ogni piccola parte del suo corpo reagì di conseguenza.

Ora era esplicito il mio interesse per la sua malcelata sessualità ed allora lasciai da parte ogni forma di educazione, e sfacciatamente permisi alle mie pupille golose di cibarsene senza remore. Ecco, ora mi sarei aspettato un gesto pudico, un'occhiata indispettita oppure una qualsiasi forma di censura che ponesse un freno al mio incauto ardire, invece Greta lasciò che la figlia si stringesse ancora di più al suo ventre, strattonando verso il basso la già procace scollatura.

Bastò quella provocazione ad accendere improvvisamente i miei sensi e rimasi impigliato con gli occhi sul bordo ricamato di quell'abitino estivo, sperando che in qualche modo cedesse alla spinta dei capezzoli che ora rasentavano il limite che separa l'immaginario dal visibile. Per tutta risposta, lei mi sorrise. - Non smetterà di piovere tanto in fretta... - bisbigliò alla ragazzina - credo che dovremo aspettare un bel po' prima che torni papà.

- Lo spero anch'io! - esclamai, senza nemmeno rendermi conto di cosa avessi detto, ma la sua espressione divertita mi concesse immediatamente la conferma che stessimo dividendo lo stesso splendido intrigo. - Venite spesso qui al fiume? - le domandai.

- Quando finisce la scuola siamo qui tutti i pomeriggi. - rispose al suo posto la bambina - A volte ci veniamo con Lara e sua mamma... ma spesso anche da sole.

- Quando ero piccolo, - abbozzai una conversazione improvvisata - i mie genitori avevano poco tempo per giocare con me perché erano sempre impegnati col lavoro.

- Anche mio padre lavora sempre. Oggi è la prima volta che ci ha accompagnati e, a quanto pare, ha portato anche sfortuna.

- Tua mamma invece non lavora?

- Fa il lavoro della mamma che è il più bello del mondo! - affermò, abbracciandola ancora più stretta.

Ora l'abito era sul punto di cedere e Greta non fece nulla per impedirlo. Lo sapeva bene quanto stessi aspettando l'attimo fuggente in cui il mistero si sarebbe svelato, ma nonostante tutto mi guardò senza alcuna remora, mentre il gioco si reggeva a stento su quello che ormai era divenuto un equilibrio incerto. Saremmo potuti restare lì per sempre, trattenuti da un filo di seta che ci legava dentro i pensieri. Io con la brama di riempire la mente delle sue forme sensuali e lei pronta a lasciarsi godere.

A decidere la sorte fu un potente tuono che scosse dal nulla la montagna sovrastante. Fu in quel momento che si chinò verso la ragazzina per proteggerla e l'incanto riempì i miei occhi. Lei rimase così, col seno che pareva danzare nell'aria senza trovare un centro di gravità permanente, ed io che, istintivamente, provavo a proteggere entrambe dalla furia del fortunale.

Fu in quello strano abbraccio che percepii immediatamente il calore della sua pelle nuda ed allora allargai volutamente la mano per afferrarne quanta più ne potessi, come se dovessi impedire che un calice di cristallo si infrangesse sul pavimento. Fu solo un attimo, un miserabile attimo in cui ogni sogno di possesso sembrava essersi esaudito... le strinsi inavvertitamente uno dei capezzoli tra le dita e la sentii fremere senza ritrarsi. Subito dopo, probabilmente per pudore verso la figlia, si sistemò lentamente l'abito ed assunse un'aria impassibile, apparentemente distaccata.

Percepii quell'atteggiamento come un chiaro messaggio di diniego, una forma di comunicazione gestuale in cui mi ribadiva quanto fossi andato oltre il lecito, e allora mi resi conto di aver esagerato. Per qualche istante calò un silenzio imbarazzante che mi indusse a lasciare un minimo spazio tra i nostri corpi.

- Così finirà per bagnarsi tutto. - sospirò - Questo temporale sembra davvero non voler smettere mai!

Ma che diavolo voleva questa donna da me? Forse ero io a non capire oppure interpretavo erroneamente ogni suo cenno d'intesa, oppure era lei a nascondersi dietro l'incognita di ogni gesto per non esporsi ulteriormente? D'altronde, se avessi mai seguito un filo logico, non era plausibile che una mamma, accompagnata dalla figliola e in attesa del ritorno del marito, facesse la smorfiosa con uno sconosciuto! Eppure qualcosa mi diceva che avrei dovuto tentare ancora. Non so cosa, non so come, ma il gioco non era affatto terminato con quell'incauto abbraccio.

Ad interromperlo per qualche istante fu la telefonata dell'adorato consorte: - Non sono riuscito a raggiungere l'auto, - disse - e sono bloccato nel lavatoio che si trova circa a metà strada.

- Fai con calma, - rispose Greta - noi qui siamo al riparo e stiamo bene.

Un ulteriore scroscio di pioggia, accompagnato da un vento fastidioso, ci indusse a salire la scaletta di pietra che conduceva nel fienile sovrastante. Una poderosa spinta e la porticina di legno cigolò di botto sui cardini, lasciando intravedere quello che pareva un soppalco. Qualche vecchia cassa, una falce, erba secca ovunque e una lunga fila di tavole di legno piallate, accatastate al centro del locale. Ne sistemai un paio a mo' di panca e Greta si sedette con accanto la ragazzina. Io presi posto su un vecchio tronco, posto di fronte a loro. - Abitate qui vicino? - domandai, mentre fuori scoppiava il finimondo.

- Abbiamo una casa di montagna a qualche chilometro da qui. Quando finiscono le scuole, fuggiamo dal caldo della città e ci rintaniamo in questo paradiso. Mio marito fa spesso la spola, ma ultimamente è molto preso col lavoro e viene soltanto nei week-end. Oggi è stato un caso particolare perché è il compleanno di Sofia.

- Ogni volta che viene, cambia il tempo. - Aggiunse la ragazzina con fare polemico.

- Il tempo non può essere comandato da nessuno, - le sorrisi - questi sono solamente delle credenze popolari o dei modi di dire.

Lo si capiva immediatamente quanto fosse legata alla madre perché non l'abbandonava un solo istante. Le stava sempre addosso, avvinghiata come un tralcio d'uva fragola sul sostegno più vicino. - E' molto timida, - mi spiegò - ed anche molto... troppo coccolona.

Così dicendo, accavallò le gambe con un gesto naturale, lasciandomi intravedere quando fosse tonica e ben curata. Le unghie smaltate di fresco, la caviglia stretta e nervosa, e quelle cosce lisce e affusolate che mandano fuori di testa i maschietti davanti alla tv. Lì però non c'era affatto uno schermo da cinquanta pollici, ma un'affascinante signora in tutto il suo splendore. Per quanto fosse assurdo, mi accorsi soltanto in quel momento del suoi capelli rossi. Ho sempre preferito le bionde o le more, ma in quel momento la prima scelta era sicuramente lei: - Rossa naturale? - provai ad essere sfacciato.

Quando scoppiò fragorosamente a ridere mi domandai che diavolo le avessi mai chiesto. A volte succede che si formula una domanda pensando di utilizzare certi vocaboli e poi invece si scopre di averne usati altri

- Mi scusi... - reagì prontamente - ma mi è venuta in mente la morbosa curiosità di un caro amico che la ripropone ogni volta che ci incontriamo. Non serve che gliela spiego nei dettagli vero?

- Avendo aggiunto quell'aggettivo, credo sia chiaro il riferimento. - sorrisi - Personalmente non intendevo indagare in quel senso e mi riferivo soltanto alla sua acconciatura. Quella superiore insomma. - Ecco, adesso la mia proverbiale propensione a non tenere a freno la lingua mi stava portando a fare la solita figura dell'idiota.

- E' una domanda che non si dovrebbe mai fare ad una signora. - rispose, senza aver colto le mie ultime inutili parole - Il colore dei capelli è come una maschera e ognuna di noi si nasconde dietro la propria scelta.

- Allora capisco la curiosità del suo amico. - la provocai, cogliendo al volo la sua apertura mentale sull'argomento.

- Molte bionde non sono bionde ovunque, - rispose con aria divertita - perché mai questa regola non dovrebbe valere anche per le rosse?

La guardai negli occhi senza il coraggio di porle la domanda che stupidamente occupava tutti i miei pensieri... e lei mi rispose con un cenno di diniego: - Per quanto riguarda il mio amico posso dirle che l'ho sempre lasciato nel dubbio.
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