E'
settembre, nel parco e sotto i ponti, nel cielo stormi di foglie morte
sorrette da un alito di vento. Nell'aria tersa del mattino solo il rumore
dei miei passi e il tonfo del mio cuore, mentre attraverso il parco, ricamato
di panchine, uniche macchie chiare nel verde brillante dell'erba appena
tagliata. Sullo sfondo il rosso scuro dei mattoni di cotto abbracciati
dal giallo e dal viola sgargiante della vite canadese nell'ultimo suo
respiro d'autunno, poi il rame antico delle gronde, abbarbicate sotto
ai coppi sfaldati dal logorio del tempo... soffio inquieto che tutti porta
lentamente in rovina.
Tre gradini di pietra, quattro passi sino al portale di mogano intagliato...
"non serve bussare... non serve bussare"... occhi a mandorla
ed il solito sorriso un po' ebete della domestica, "la signora aspetta
nel salone" "la signora è appena salita dal giardino".
Seguo le tue orme bagnate sul marmo tirato a lucido da cento e cento anni
allo stesso modo, non mi piacciono le donne quando sono scalze, ma tu
sai muoverti con maestria, cammini sulle punte girandoti sulle dita come
in una danza leggera, suadente... ed ogni volta ti ho ritrovata ovunque
ti sei nascosta, anche quando hai provato a farmi credere che "la
signora è sul terrazzo... la signora l'aspetta in cucina"
" la signora è salita in soffitta... la signora è scesa
in cantina".
La signora stavolta è là dove so di trovarla, la signora
ha smesso di fuggire come faceva prima... già intravedo i tuoi
capelli neri... e tu seduta sulla sedia a cavalcioni, immobile come in
una vetrina. Le mani strette ai pomoli di legno, lo sguardo fisso nelle
nuvole che si specchiano sul lago, le grandi tende bianche si gonfiano
come vele al vento trasformando il salone in un'immensa nave.
Arrivo alle tue spalle silenzioso com'è di notte il mare, ti sfioro
il collo appena e già mi sembra di scoppiare... poi calmo, nel
silenzio più assoluto, prendo dalla tasca il mio segreto e ti abbandono
nell'attesa. Olfatto e udito, per ora non ti resta altro, per me invece
solo il tatto e la vista per scardinare quella voglia di gusto che non
ci vuole abbandonare... ed ora ti sento... ti sento sospirare.
Fragile, forte ma indifesa, tra le mie mani che non ti danno tregua e
le mie dita delicate e decise... che sciolgono i grandi bottoni azzurri
partendo dall'alto della tua candida divisa. La tua pelle... un brivido
mi coglie, la bacio lentamente e ti abbandoni alle mie voglie... ma non
è il momento, non lo è ancora e avverto il desiderio che
ti divora. C'è un profumo nell'aria e sgorga tra le mie mani, è
selvaggio e intenso, forte e denso... è impalpabile, elegante...
intingo la mia lingua e la ritraggo palpitante, poi come nello studio
di un grande pittore comincio a dipingerti la schiena come un capolavoro.
Linee sottili che si trasformano in ancestrali arabeschi fioriti di fresco,
e ancora cerchi sinuosi, deliziosi inserti tondeggianti... che seguono
le linee del tuo corpo, dolci, eleganti... ed io intingo il pennello minuto
dalla punta fine, lo intingo nel miele d'acacia, lo scolo pian piano e
poi confondo le rime... e poi confondo la tela, questa pelle viva che
mi parla e m'incatena, questo tuo ondeggiare nelle trame del mio disegno,
questo gioco perverso e dolce che mi lascia il segno.
"La signora si sta eccitando... la signora ora freme" "la
signora vuole che tu scenda a dipingerla sotto la schiena" ...ed
io mi infilo tra i tuoi glutei polposi, m'insinuo nel cavo dell'onda e
ogni cosa coloro... "la signora sta per scoppiare" "la
signora sta per godere" ...mi arresto solo un istante per baciarti
bene il sedere. E' questo il momento per fermare il gioco, per avere tutto
e non accontentarsi di poco... ti alzi, ti giri e l'abito cade, ti mostri
a miei occhi e il mio sangue sale... su per le tempie, per il cuore, nel
petto, nel ventre, nel sesso, mi accende, mi spinge, mi fa sobbalzare,
ma so che stavolta io dovrò aspettare.
"La signora si siede... si fa interessante" "la signora
si siede e apre le gambe" ...e le apre ai miei occhi golosi e sognanti,
le mie mani ed il pennello si son fatti tremanti... eppure continuo intingo
e comincio, e scalo i tuoi seni e poi li dipingo. Un tocco per uno sui
capezzoli austeri ma continuo a pensare al tuo gran bel sedere, continuo
a pensare quando gli sarò dentro e dalla tua bocca di classe fuggirà
un lamento... si farà forte di espressioni audaci, e poi di colpo
in una smorfia atroce... in una smorfia atroce.
Ora t'inzuppo, no non resisto... riempio l'ombelico senza lasciarti fiatare
e poi aspetto che il miele scenda... che cominci a colare, che si divida
in un delta a mo' di serpente, che salga sul colle e poi ridiscenda...
e poi ridiscenda. Non un solo pelo, non hai difese, il miele che scivola
con mille pretese... lo spingo, lo insinuo nei tuoi riccioli rosa... le
setole fremono in quel frutto carnoso... si agita, inghiotte, assorbe,
si apre, e mostra ai miei occhi di cosa è capace. Mi sfugge, poi
torna, si chiude e si stringe, si torce e si avvinghia... e poi
salta di gioia sulla mia lingua... sulla mia lingua.
Ora sei mia, nelle mie mani, e vedo il piacere che mostri e che brami...
eccolo, appare... come un piccolo cuore pulsante che ha lasciato il suo
caldo cappuccio di carne tremante. Un amo, un piccolo amo appeso ad un
filo sottile... l'invisibile punta a trafiggere quel chicco impazzito...
e poi io lo tendo, piano tra le mie dita... "che vile"... ora
ti tengo... ti tiro... ti porto sul burrone più alto e poi ti prendo
in giro... ti illudo, ti trascino, ti torturo e ora vorrei sbatterti con
foga appoggiata al muro, vorrei schiacciarti, vorrei farti male, ma sento
che stai già soffrendo... che stai per gridare... che stai per
gridare.
Immobile... in silenzio, ti sento balbettare, "voglio essere presa...
mi sento affogare" "voglio sentirti dentro... voglio che tu
mi faccia male".
Dio quanto tempo che ti volevo sentire... parlare, mando via la cinese
ed ora ti posso baciare... sfiorare, toccare, ti sollevo un po' i fianchi,
ti stringo il sedere, poi mi infilo di sotto e ti lascio cadere... si
si... ti lascio cadere... ti stringo, ti mangio, ti mordo la schiena e
ti giro su un fianco, poi ti trascino come un fiume in piena, ti inondo,
ti affondo e ti sento pregare, ti sento parlare, ti sento scoppiare...
ti sento scoppiare... la nave affonda in questo immenso mare.
Senza più forza e senza parole, stesi sul marmo con il fiato in
gola, con la bocca aperta, con le mani avvinte, le dita intrecciate e
le labbra dipinte... la voglia nel ventre che ancora non passa... la tua
voce un lamento e la mia una carezza. Se potessi tornare ancora un po'
indietro ingannerei il tempo e lo fermerei un minuto nel momento più
alto... quello che più ti è piaciuto... e poi lo nascondo
tra ciò che ho vissuto.
Abel Wakaam
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